Luigi Meneghello

Malo, paese del Vicentino, 1922: nasce Luigi Meneghello. Accanto ad  Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 10 ottobre 1921 – Conegliano, 18 ottobre 2011) e a Mario Rigoni Stern (Asiago, 1º novembre 1921 – Asiago, 16 giugno 2008) è uno dei maggiori scrittori  veneti del secondo Novecento italiano.

Malo è il paese di Meneghello

La sua formazione avviene durante il fascismo; frequenta il liceo a Vicenza e si iscrive alla facoltà di lettere all’Università di Padova percorrendo una brillante carriera scolastica; in seguito, grazie all’incontro con Antonio Giuriolo, un professore antifascista, si avvicina agli ambienti contrari al regime e, dopo il 1943, si impegna nella Resistenza.
Di queste sue vicende ci dà conto in un suo scritto: «Ho fatto studi assurdamente “brillanti” ma inutili e in parte nocivi a Vicenza e a Padova; sono stato esposto da ragazzo agli effetti dell’educazione fascista, e poi rieducato alla meglio durante la Guerra e la Guerra civile, sotto le piccole ali del Partito d’Azione».
Antonio Giuriolo  fu per lui, come per altri suoi coetanei, un maestro ammirato.
Ne parla molto nelle sue opere. Di questa figura abbiamo un ritratto indimenticabile ne I piccoli maestri: durante le ricognizioni in montagna avviene un incontro tra il gruppo di Meneghello guidato da Giuriolo e un gruppo di partigiani comunisti comandati da ‘un uomo piuttosto giovane, robusto, disinvolto. «Aveva scritto sul viso: Comandante. Aveva calzoni da ufficiale, il cinturone di cuoio, il fazzoletto rosso. Era ben pettinato, riposato, sportivo, cordiale. Antonio era vestito alla buona, con la sua aria dimessa e riservata; pareva un escursionista. Il comandante avanzò sorridendo, a due metri si fermò, col pugno sinistro in aria, e disse allegramente: “Morte al fascismo”. Vibrava di salute, fierezza, energia. Toni un po’ imbarazzato disse: “Piacere, Giuriolo”, e gli diede la mano in quel suo curioso modo, con le dita accartocciate. Uno meglio dell’altro. Provavo fitte di ammirazione contraddittorie». Molto ironico, ma capace di evocare con vitalità personaggi altrimenti consegnati al freddo di una lapide commemorativa.
Il ‘capitano Toni’ Giuriolo, insignito della madaglia d’oro al valor militare, muore il 12 dicembre 1944 durante un’azione di recupero dei compagni feriti. Della sua morte dà conto lo scrittore con sobrietà e toni antiretorici: «Antonio era morto, in forma esemplare si dà il caso, …, in un piccolo combattimento vero»

Dopo la liberazione si laurea a Padova nel dicembre del 1945. Grazie ad una borsa di studio parte per l’Inghilterra, dove diventa professore all’università di Reading, fondando il dipartimento di studi italiani.
«Mi sono espatriato nel 1947-48 e mi sono stabilito in Inghilterra con mia moglie Katia. Non abbiamo figli. L’incontro con la cultura degli inglesi e lo shock della loro lingua hanno avuto per me un’importanza determinante. Sono certamente un italiano, e non ho alcun problema di identità, né mi sono mai sentito per questo aspetto in esilio» (Opere scelte, 2006, p. LXXXVII). È grazie all’esperienza del distacco e del radicarsi in altre situazioni di vita che le opere di Meneghello hanno questo respiro largo senza togliere nulla al profondo legame che lo scrittore mantiene con la sua origine. Come è stato notato, si crea uno spazio di incontri vitali tra mondi diversi: «Il dispatrio […] non coincide con il momento del distacco dalla patria, ma è la traduzione/trasfigurazione letteraria e teorica del permanere in una dimensione mobile di confronto e di contatto tra poli culturali, linguistici e geografici diversi. … (patria locale, patria-nazione e nuova appartenenza inglese) … La memoria genera una nuova cartografia che cerca di avvicinare i luoghi delle diverse esperienze di appartenenza vissute dallo scrittore …» (Franca Sinopoli, Spazi ricreati: il dispatrio come memoria letteraria anamorfica in Luigi Meneghello).

Nel 1946 incontra Katia Bleier: era stata deportata ad Auschwitz con alcuni familiare che non sopravvissero ed era riuscita, dopo la liberazione, a raggiungere la sorella Olga che assieme al marito era stata internata a Malo. Lì  l’aveva conosciuta Luigi, che con la consueta ironia racconta: «… guardavamo il cielo stellato. E a un certo punto le ho chiesto: “Signorina Bleier voi credete in Dio?, “No” ha detto lei. E io mi sono detto: “Questa qui la sposo”».
Così nel 1948 si sposarono e Katia gli rimase accanto per tutta la vita sostenendolo attivamente  nella sua carriera di studioso e di scrittore.

Nel 1980 Meneghello si trasferisce a Londra, ma torna spesso a Thiene, che nel 1989 lo aveva insignito della cittadinanza onoraria. Dopo la morte di Katia nel 2004 si stabilisce definitivamente a Thiene.

Muore nel 2007 e viene sepolto accanto alla moglie nella tomba di famiglia nel cimitero di Malo.

A proposito di questa tomba “di lusso” lo scrittore si prende in giro e non risparmia certo le manie di grandezza di suo padre: in Pomo Pero racconta di quando, con sua moglie, arriva al cimitero di Malo per ‘Cavar su i morti’, cioè per trarre dalle povere sepolture in terra i resti dei cari estinti e deporli nella nuova cappella. Dice di essere arrivato “con la nuova automobile per young executives” accompagnato naturalmente dalla “young executive’s wife” e commenta: «Ma sì forse abbiamo fatto male a far fare questa tomba di lusso, questa tardiva “cappella gentilizia”. Anche i vicini sono lì in perpetuo. Non sarebbe stato meglio stare in terra, allo scoperto, dove stanno i pari dei nostri nonni e degli zii? L’idea era di far contento il papà, a cui piaceva tanto di sembrare un signòr, ma non siamo arrivati in tempo».
E in  mezzo a questa rappresentazione autoironica di lui che arriva da gran signore sull’auto nuova mezza sportiva a questo cimitero di Malo, spunta, come spesso accade quando vuole disorientare il lettore, un ricordo tragico riguardante la moglie, la “young executive’s wife”, che, avendo adottato come suoi i genitori dello scrittore, lo accompagna al funerale: infatti i propri genitori Katia  «… li ha persi di vista in tempo di guerra, in quella stazione all’aperto, al confine tra la Polonia e la Cecoslovacchia, Oswiecim. Mi ha detto che a sud si vedevano dei monti lontani, la catena dei Tatra».

Un’annotazione asciutta, senza commenti, come succede quando il dolore non può avere rimedio. È il segno che non si dimentica quel che è sepolto in fondo al proprio essere. C’è un senso in questo scavare e cavar su: si scava nei ricordi, nelle parole antiche, nel dialetto, per tenere in vita quello che non va dimenticato.

Le opere di Meneghello:

Libera nos a Malo, 1963.
I piccoli maestri, 1964.
Pomo Pero, 1974.
Fiori italiani, 1976.
L’acqua di Malo, 1986.
Il Tremaio. Note sull’interazione tra lingua e dialetto nelle scritture letterarie, 1986.
Jura, 1987.
Bau-Sète!, 1988.
Leda e la schioppa, 1989.
Rivarotta, 1989.
Che fate quel giovane?, 1990.
Maredè, Maredè… Sondaggi nel campo della volgare eloquenza vicentina, 1991.
Il dispatrio, 1993.
Promemoria. Lo sterminio degli ebrei d’Europa, 1939-1945, 1994.
Il Turbo e il Chiaro, 1996.
Le correnti sottopelle, 1997-
La materia di Reading e altri reperti, 1997.
Le Carte. Volume I: Anni Sessanta, 1999.
Le Carte. Volume II: Anni Settanta, 2000.
Le Carte. Volume III: Anni Ottanta, 2001.
Trapianti. Dall’inglese al vicentino, 2002.
Quaggiù nella biosfera. Tre saggi sul lievito poetico delle scritture, 2004.
L’apprendistato. Nuove Carte 2004-2007, 2012.
Spor. Raccontare lo sport, tra il limite e l’assoluto, con testi inediti, 2022

 

 

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