Moulin Rouge

Moulin Rouge

Moulin Rouge il cuore di Montmartre e di Toulouse-Lautrec

 

Pierre La Mure,
Moulin Rouge
Presses de la cité
116, rue du bac, 116
Paris
1952

traduction d’Alice LE BAYON

 

 
Moulin Rouge. Se Montmartre è Toulouse-Lautrec e Toulouse-Lautrec è Montmartre,
il titolo del romanzo riassume Montmartre e Lautrec, perchè Moulin Rouge vuol dire indimenticabili manifesti, Belle Èpoque, follie parigine, artisti, ballerine, cantanti, vita e vita e vita, e soprattutto lui, Henri de Toulouse-Lautrec, ultimo rampollo di una famiglia di antica nobiltà, irrimediabilmente segnato nel fisico, e perciò in fuga dal suo ambiente e dalle occupazioni oziose della sua classe, per arrivare, anzi sprofondare, nella Butte (così è detta la collina di Montmartre): a metà dell’Ottocento era una specie di zona franca, con locali alla buona, dove si beveva e si ballava, abitata da povera gente, frequentata da personaggi anticonformisti, da emarginati, da artisti di poco successo, da un’umanità in cerca di brevi momenti di felicità, ma anche da persone dimenticate dalla fortuna, verso cui Lautrec si sentiva solidale, lui, ricco, famoso, ma profondamente infelice.
«Pendant cet été de 1888, Montmartre fut une sorte d’oasis où se pratiquait le cultu du plaisir en marge d’un monde victorien. C’était la joyeuse paroisse de la bohème, de l’aventure insouciante, dans un quartier demi-rural aux portes de Paris. Les cerisiers trouvaient le moyen de fleurir dans des terrains vagues; les amoureux s’embrassaient sur les pas des portes, et les blanchisseuses de quinze ans dansaient le cancan , par plaisir, uniquement parce qu’elles avait de la joie dans le coeur et la jambe légère»
Ma già tutto cambiava, in quella zona periferica di Parigi destinata a diventare luogo di divertimento per parigini e stranieri; già spuntavano caffé-concerto, cabaret, con spettacoli vari e con nomi destinati a diventare famosi proprio grazie alle litografie dell’artista.
Quel mondo “obscène et sentimental”, in cui tanto si sentiva a suo agio Lautrec, stava morendo, trasformandosi in una moderna industria del divertimento, una macchina di perpetuo svago, a cominciare proprio dal Moulin Rouge, alla cui fama lo stesso Lautrec aveva contribuito con il suo celebre manifesto.

La Mure, scrittore francese (che scrive, però, questo suo romanzo in inglese) narra la vita dell’artista in un libro intenso e appassionante; con accenti commossi racconta l’infanzia felice, ma poi, subito, l’amaro destino che si è abbattuto su di lui; con crescente disperazione la storia procede tra le disgrazie che gli cambiarono la vita, la passione artistica, il lancinante desiderio di trovare un amore che gli riempisse l’esistenza, le delusioni che lo trascinarono negli eccessi, nell’alcolismo, giù giù fino alla fine della sua breve vita, fino all’ultimo respiro esalato tra le braccia dell’unica donna che mai aveva cessato di amarlo e di accoglierlo, sua madre: «Maintenant, il n’y avait plus que maman. […] Elle lui caressait les cheveux de ses mains fraîches, comme elle l’avait fait lorsqu’il était enfant et qu’elle voulait le voir s’endormir. […] -Dors, Riri. Dors, mon enfant. »

Tanto ammirato ed osannato da pubblico e critica, ma tanto incompreso nel privato, Lautrec concluse la sua breve esistenza, dopo una strada di autodistruzione segnata dall’infelicità, nel 1901.

Pierre La Mure, con questa biografia, ha tracciato anche un affresco indimenticabile di Montmartre, dei suoi celebri personaggi, la Goulue e Valentin le Désossé, Jane Avril e Yvette Guilbert, Aristide Bruant e Sarah Bernhardt; ed ancora incontriamo Van Gogh, e poi Degas, Zola e tanti personaggi meno noti, esseri umili, che però contarono molto nell’esistenza di Lautrec.

Questo libro ebbe molta fortuna, fu tradotto in varie lingue, se ne trasse un celebre e premiato film, ne furono fatti arrangiamenti teatrali più o meno riusciti.
La sua lettura, al di là del valore letterario, ci commuove e ci fa rivivere un’epoca mitica, quella folle Belle Èpoque così ingannevolmente felice, che non poteva avere altra conclusione se non il baratro della guerra mondiale; quasi una metafora, la vita di Lautrec la rappresenta in pieno, con la sua sottesa filosofia: «Rire, voilà le secret! Rire le plus possible et penser le moins possible… Comment La Bruyère avait-il exprimé celà? “N’attendez pas d’être heurex pour rire, car vous pourriez mourir sans avoir jamais ri.”»
Una filosofia amara, un ridere triste, come l’espressione dei personaggi ritratti da Lautrec.

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