I bastardi di Pizzofalcone

Maurizio de Giovanni
I bastardi di Pizzofalcone
Einaudi 2013

Al commissariato di Pizzofalcone, screditato da alcune brutte vicende, si cambia tutto: arrivano il commissario Palma e una nuova squadra di investigatori, il cui uomo di punta è l’ispettore Lojacono, inviso a molti, ma apprezzato dal commissario stesso e dall’affascinante magistrato Laura Piras.
Tre sono i filoni di indagine: il principale, risolto brillantemente da Lojacono, si svolge nell’ambito della più esclusiva società napoletana e vede come vittima una donna gentilissima, buona e generosa, moglie di un notaio che a lei deve tutto, carriera e denaro e successo, ma che la tradisce costantemente; il secondo porta gli agenti Romano e Di Nardo ad indagare sul perché una giovanissima e bellissima ragazza non esce mai di casa; il terzo, infine, riguarda il vecchio e malato Pisanelli, ossessionato da una serie di suicidi sospetti. Trama condotta senza dubbio con maestria, il libro si legge velocemente e con gusto, i personaggi sono interessanti anche per le loro personali vicende; tuttavia rimangono delle perplessità.
Intanto si scivola spesso nell’ovvio, quasi nella macchietta: la figlia adolescente di Lojacono è un po’ troppo figlia adolescente, l’impiegata anziana del notaio, innamorata del principale, è un po’ troppo “cliché”, e così altri, dall’agente Aragona all’impiegato anziano dello studio notarile. Inoltre i personaggi spesso ricalcano quelli dei romanzi precedenti: Lojacono, sospeso tra due donne di lui innamorate e diversissime tra loro, ricorda molto Ricciardi e la sua situazione sentimentale; anche qui troviamo un religioso (un frate) amico del sostituto commissario Pisanelli, che ricorda molto il prete amico di Ricciardi; vi sono, insomma,  momenti con il sapore del déjà vu, con presenze che si sentono già conosciute e camuffate per poterle riutilizzare.
Naturalmente Napoli, sempre amata: «Quella città faceva sempre in modo di sorprendere, regalando scorci improvvisi che mostravano un’illusoria bellezza».
Libro piacevole, scrittura non sempre raffinata, con qualche scivolone nella banalità. Con la percezione un po’ fastidiosa della furbizia dell’autore che lascia qualcosa di incompiuto per poter scrivere ancora.

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