Lucernario

José Saramago
Lucernario
Traduzione di Rita Desti
Feltrinelli 2012

 

Lucernario, «Il libro perduto e ritrovato nel tempo», è «il dono che l’autore ha voluto lasciarci perché avessimo ancora qualcosa da condividere, ora che definitivamente non c’è». Così scrive Pilar del Río, compagna dello scrittore negli ultimi dodici anni della sua vita, giornalista spagnola e traduttrice di alcuni suoi romanzi, nella prefazione a questo romanzo giovanile, scritto nel 1953 e allora rifutato dall’editore (e poi dimenticato, senza neanche un rigo di spiegazione al giovane Saramago; infine ritrovato nel 1999, e allora sì riproposto al Nobel Saramago per la pubblicazione). Come racconta Pilar del Río, l’autore non volle più pubblicarlo finché era in vita. Ora, per fortuna ce l’abbiamo.
«Lucernario è la porta d’ingresso a Saramago e sarà una scoperta per ogni lettore. … Come se la morte non esistesse».
Siamo a Lisbona, a metà del Novecento, c’è ancora la dittatura. Lo scrittore narra la vita di sei famiglie che abitano in un palazzo di un quartiere popolare. Figure familiari a chi ha letto un po’di Saramago: poveri esseri dagli orizzonti limitati, ma anche uomini umili-grandiosi, dal pensiero forte; donne disposte a tutto pur di avere un po’ di sicurezza (e non parlo di Lidia), ma anche donne di grande dignità e coraggio (e parlo di Lidia, e di Justina).
Un universo vario, che l’autore ci propone con quella sua capacità – già allora, appena ventenne – di coinvolgerci nelle vicende di questa umanità, e ci fa interessare, ci fa vivere la loro vita, ci induce a desiderare di consigliare e aiutare questi esseri.
Chiuso il libro, si pensa ancora a loro. Perché la cifra di questa lettura è la com-passione, la partecipazione ai dolori, alle rabbie, anche all’amarezza degli errori.
La vita di questa gente scorre monotona, con la quotidiana dose di infelicità e con qualche rara gioia; ma ad un certo punto arriva l’inatteso che cambia la loro esistenza e fa sì che nulla sia più come prima
Mi pareva, all’inizio, di trovare uno stile un po’ acerbo… Impressione fugata nel procedere così avvolgente del romanzo; e ci si dice: «… è lui, sì, è proprio lui, Saramago».
Uno dei temi ricorrenti, affidato al dialogo intenso tra Silvestre, ciabattino dai trascorsi rivoluzionari, e Abel, giovane libertario vagante alla ricerca di un senso, è il significato della vita, se debba essere semplicemente “vita” o “vita per…”; una digressione per nulla pedante, molto appassionata e sentita.
Se Abel con le parole di Pessoa sostiene: “Ma il senso occulto della vita è che la vita non ha alcun senso occulto”, Silvestre è del parere che la vita debba essere utile a qualche nobile causa. Un dialogo platonico da cui emerge soprattutto il profondo legame d’affetto tra i due, un affetto “scelto”, «…non l’amore obbligatorio della parentela, spesso un fardello imposto dalle convenzioni…».
Pensieri profondi che ritroveremo successivamente, molto più fusi con le vicende, molto “mascherati” dall’abilità con cui lo scrittore maturo ha saputo incarnarli in vissuti; qui sono esplicitati, ci fanno sentire il giovane combattivo libertario che si oppose alla dittatura salazarista e che si preparava a diventare uno strenuo “combattente del pensiero”.

condividi!
  • Print
  • Facebook
  • Twitter
  • RSS
Questa voce è stata pubblicata in romanzi e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.