Freud, Jung e la psicoanalisi

Umberto Galimberti
racconta
Freud, Jung e la psicoanalisi
La Biblioteca di Repubblica, 2011

Libro molto interessante, e per chi vuol rinfrescare nozioni assopite, e per chi non sa nulla dell’argomento – grazie alla sua chiarezza espositiva, e, soprattutto, per capire a che punto siamo, individualmente e collettivamente.
Galimberti espone con molta chiarezza il percorso e i punti cardine della teoria freudiana: la suddivisione tra io ed inconscio, che a sua volta è costituito da una parte pulsionale (Es, sede delle esigenze della specie) ed una superegoica (Super-io, dove si interiorizzano le esigenze della società); la distinzione tra nevrosi (che incrina l’equilibrio dell’io) e psicosi (che invece arriva a dissolvere l’io inteso come mediazione tra Es e Super-io, cioè tra spinte a soddisfare le pulsioni della sessualità e dell’aggressività da una parte e divieti imposti dalla società dall’altra); la distinzione tra morale eteronoma (cioè con la sorveglianza esterna) e morale autonoma; il principio di piacere e il principio di realtà; le tre fasi dello sviluppo psichico (orale, anale, edipica); la formazione dell’individualità e della capacità di relazione tramite il superamento del complesso edipico; la costruzione della cultura intesa come sublimazione delle pulsioni; infine “il disagio della civiltà” che nasce dall’oppressione esercitata da una società troppo rigida in termini di divieti e caratterizzata da un «legame sociale stabilito per identificazione reciproca dei vari membri».
Galimberti mette in luce come Freud anticipi Marcuse (“L’uomo a una dimensione”) con l’ipotesi secondo la quale «l’uomo ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza»; molto convincente, a tal proposito, l’affermazione dell’esistenza di un ulteriore condizionamento per l’umanità contemporanea derivante da un “inconscio tecnologico” (che produce in noi un senso di inadeguatezza, in quanto inferiori alla macchina in termini di efficienza e regolarità).
Il filosofo passa quindi ad esaminare la teoria di Jung e le diversità di questa rispetto ai concetti freudiani: gli esseri umani nascono sostanzialmente schizofrenici, abitati da molte personalità, tra le quali l’IO, il complesso autonomo che tiene i rapporti con la realtà; l’inconscio si configura come uno sfondo indifferenziato da cui emerge la coscienza; a differenza di Freud che spiega l’uomo dal punto di vista patologico, la teoria junghiana mira alla comprensione dell’uomo in quanto sano; per Jung il simbolo non è solo un segno manifesto di un contenuto latente, ma un’istanza operativa che promuove lo sviluppo sia dell’individuo che della collettività, è quell’energia eccedente suscettibile di essere impiegata in modo nuovo e diverso rispetto a ciò che è codificato; in questo senso l’inconscio non è solo il deposito del rimosso, ma è anche un “progetto di esistenza” da esplicare e realizzare. Con l’introduzione del concetto di inconscio collettivo – e la correlata “scoperta” degli archetipi, quali forme “a priori” dell’apprendimento – Jung si distingue dal modello concettuale di Freud nel descrivere la psiche utilizzando invece un modello “immaginale”. Per Jung la totalità della psiche è il “Sé”, che costituisce l’espressione indifferenziata di tutte le possibilità umane – ed è anche la sede della follia – e da cui si emerge tramite la ragione; ma, dopo aver raggiunto questa padronanza razionale, l’individuo, per realizzare a pieno la propria personalità, deve ampliare la propria coscienza ricorrendo di nuovo a quell’indifferenziato luogo di follia che è il Sé. Infine è messa in luce quella che, a detta dello stesso Jung, è la sua maggior differenza da Freud: «La consapevolezza del carattere soggettivo di ogni psicologia».
Galimberti propone un’ultima riflessione sul valore, per il nostro oggi, del pensiero dei due padri della psicoanalisi, ricordando l’importanza della fiducia di Freud nella ragione in quanto regolatrice del caos e promotrice del cosmo ( oggi, più che mai, ma forse come sempre nella storia umana, il sonno della ragione genera mostri:  http://fatimallospecchio.blogspot.com/2012/01/genio-e-sregolatezza.html ); ma anche dell’affermazione di Jung riguardo alla necessità di ricorrere all’inconscio, dopo aver rafforzato l’IO – e con l’avvertimento che «Non tutte le porte vanno aperte», perché la vita possa alimentarsi di nuovi motivi.
In questo scenario il futuro della psicoanalisi deve tener conto del passaggio da quella società della disciplina, che caratterizzava il mondo di Freud, alla società dell’efficienza che può generare un «senso di insufficienza».
Il libriccino, molto denso, riporta brani delle opere di Freud – di particolare interesse quelli tratti da “il disagio della civiltà”.
Alla fine due pagine di Maurizio Ferraris, in cui si riassumono le tre grandi ferite all’orgoglio umano: da Copernico (l’uomo non è il centro dell’universo); da Darwin (l’uomo non viene da Dio, ma dal mondo animale); dalla psicoanalisi (la coscienza non è la padrona assoluta, perché è l’inconscio che ci muove e l’Io non è padrone in casa propria).

condividi!
  • Print
  • Facebook
  • Twitter
  • RSS
Questa voce è stata pubblicata in saggi e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.