Unione Europea

Chi ha paura dell'Unione Europea?

Unione Europea ? Sì, grazie! Davvero?

Unione Europea: “Un maiale che corre!” – “Sparito senza lasciare traccia”. È nell’intervallo che separa questi due enunciati che si svolge la farsa. È una metafora?

Questo è il romanzo di Robert Menasse, La capitale, traduzione di Marina Pugliano e Valentina Tortelli, Sellerio 2018

Tutto nasce dalla necessità di contrastare la crescente sfiducia degli stati  verso l’Unione Europea.  Si decide così di celebrare l’anniversario dei cinquant’anni dalla fondazione della Commissione europea mettendo al centro dell’attenzione ciò che dell’Unione Europea fu l’atto di nascita: il rifiuto del nazismo e di ogni nazionalismo foriero di guerre e atrocità. Si cercano sopravvissuti ad Auschwitz perché le loro testimonianze risveglino negli animi quegli ideali che sembrano ormai appannati.

A questo punto succede il finimondo: in un turbinio di lingue, mentalità diverse, interessi particolari, ambizioni di burocrati, buoni propositi senza speranza, in una Bruxelles invasa da cortei, turisti, lavori in corso, si intrecciano le diffidenti relazioni tra membri di stati diversi, che hanno a cuore soprattutto  l’interesse della propria nazione. Oppure ambizioni di carriera. O di quieto vivere.
C’è qualche entusiasta. Non mancano i convinti europeisti, ma  non prevalgono.

Se si vuole capire che cosa è oggi l’Unione Europea, questo è il libro giusto. Seguendo i vari personaggi,  ascoltando le loro lingue diverse, scoprendo i loro ricordi, i loro scopi e le loro ambizioni, l’autore, con un umorismo più amaro che allegro, mette a nudo i meccanismi di questa macchina europea che non è mai (o non ancora – per gli ottimisti) riuscita a diventare realtà.

“Tra un maiale che corre libero per le strade e un omicidio che sembra passare inosservato prende forma un panorama di grandi emozioni e grigia amministrazione, costellato di eroi tragici, di ambiziosi perdenti, di scaltri manipolatori. Ne scaturisce un ritratto letterario sarcastico e provocatorio, capace di miscelare generi diversi, di tratteggiare l’assurdo, di irridere il male. E soprattutto di raccontare l’Europa.” (dal risvolto di copertina)

È un libro divertente fino ad un certo punto. Vi sono annotazioni tristissime.

Qualche esempio:

Il professor Erhart si è fatto male ed ha un ematoma sul braccio. Gli viene una strana idea, stranissima per un tipo come lui. Un tatuaggio. “… voglio dodici stelle a cinque punte qui sopra, intorno a questa – questa macchia blu. […] In questa macchia ci vedo l’Europa. E ora ci voglio le stelle sopra.”  Ma il tatuatore non vuole fare un tatuaggio sopra un ematoma. “Dunque niente stelle per un’Europa che sta scomparendo?”

“Negli ultimi anni in quella istituzione si era imposto un sorprendente slittamento linguistico … Mentre prima si diceva:  <<risolvere il problema>>, adesso la frase era: <<arrivare a una soluzione del problema>>. Se prima si parlava di: <<prendere una decisione>>, adesso si diceva: <<giungere a una decisione>> …  un sintomo significativo per valutare lo stato di salute della Commissione, la sua impotenza, il suo torpore. <<Avviare>>  qualcosa era chiaramente diverso da <<fare>>  qualcosa.”

Il romanzo è costellato di malinconie, vi sono personaggi che conservano in sé un acuto senso della decadenza, della fine. C’è qualche eroe, ma è meglio non affezionarsi. La loro sorte è emblematica. Meglio arrivare alla fine. Del romanzo. Dell’Unione Europea?

L’autore, germanista, filosofo e commentatore politico, è stato, nel 2012, ospite della Commissione europea in qualità di osservatore. Sa di cosa sta parlando.

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