Caterina

Caterina è  – forse – la madre di Leonardo da Vinci.  Forse…  la “certezza” è analizzata nell’ultimo capitolo del bellissimo libro di Carlo Vecce Il sorriso di Caterina .

Caterina, la madre di Leonardo

Il sorriso di Caterina

Per l’autore Caterina è anche un simbolo di libertà. Nel penultimo capitolo del romanzo parla Leonardo evocando le misteriose origini della madre schiava circassa, desideroso di poter fuggire da un mondo decrepito verso un luogo libero ed umano:

«Dopo la sua morte ho cercato di inseguire il fantasma di mia madre anche nel sogno impossibile di viaggiare fino ai luoghi da cui proveniva […] Avrei esplorato il mondo, ampliato i confini della conoscenza umana. Ancora oggi quando ci penso mi vengono i brividi, ricordando che per un breve momento c’è stata davvero la possibilità di fuggire da questo vecchio mondo malato e soffocato da se stesso, da questa civiltà che si crede superiore a tutti gli altri popoli della terra e li chiama con disprezzo barbari, e poi non sa fare altro che esportare la pazzia bestialissima della guerra, la violenza e la prepotenza e l’abominio di credere che tutto sia finalizzato al denaro e al guadagno, e che anche la libertà di un essere umano si possa comprare e ridurre in schiavitù».

Questa non è la recensione del romanzo. Voglio solo citare le ultime pagine, profondamente coinvolgenti, che l’autore stesso scrive come commento del suo libro e dove Caterina è una delle tante sorelle di un’altra fuggitiva, Evropa.

«Se è veramente lei la madre di Leonardo, Leonardo non è italiano: lo è solo a metà. Per l’altra metà, forse la migliore, è figlio di una schiava, di una straniera al gradino più basso della scala sociale e umana, di una donna scesa da un barcone e venuta da chissà dove, senza voce né dignità né permesso di soggiorno, che non sapeva né leggere né scrivere e che a stento parlava la nostra lingua. E allora il merito più grande delle persone che l’hanno incontrata sulla strada di Anchiano, la gloria più bella della gente di Vinci e del suo territorio, non è stato tanto ospitare i natali di quel bambino straordinario che avrebbe potuto nascere in qualunque altro posto, ma aver accolto nella loro comunità quella donna gravida senza patria, senza famiglia e senza libertà, e averle restituito la piena dignità dell’esistenza umana. Ed è la gloria più bella di questo nostro meraviglioso Paese, di questa penisola slanciata nel Mediterraneo come un immenso ponte di popoli, culture, civiltà, lingue e arti, che senza sosta nei millenni si sono incontrate e invase e mescolate, da Nord a Sud e da Oriente e Occidente, dall’Europa all’Africa e viceversa, terre e isole naviganti, migranti che arrivano e partono, assetati di vita e di conoscenza. La civiltà italiana non esisterebbe se qualcuno avesse chiuso i nostri porti»

«E anche se questa Caterina non fosse mai stata la madre di Leonardo, e se tutto questo fosse solo un sogno di mezza estate o il miraggio di un vecchio professore un po’ matto, pure la realtà brutale di una schiava adolescente che insieme a migliaia di altri ragazzi e ragazze, di creature invisibili e ignorate dalla Storia, arriva nel nostro continente, portandosi dietro tutto il suo bagaglio di sofferenza e dolore è uno scandalo che da solo basta a mandare in frantumi l’intera civiltà europea e occidentale. […].

La guardo, Caterina, e so di conoscerla da un tempo infinito. La realtà è che lei è qui da sempre accanto a noi, nelle cose che ci circondano, nella vita di tutti i giorni. La schiavitù, lo sfruttamento del lavoro umano e della dignità della persona, può essere ovunque. Il cotone della camicia che indosso forse l’hanno raccolto le mani di una Caterina in una sterminata piantagione dell’Asia centrale. I metalli e i filamenti che costituiscono i nervi pulsanti del mio smatphone sono forse intrisi del sangue e del sudore dei bambini che li hanno estratti dalle miniere dell’Africa.

Oggi, all’incrocio accanto a quel semaforo, una Caterina bambina è costretta a chiedere l’elemosina, mentre i suoi fratelli si spaccano la schiena nei campi di pomodori e cadono dalle impalcature di cantieri privi di protezione, e le sue sorelle vengono risucchiate e macellate in orditoi e macchinari tessili. Questa sera un’altra Caterina schiava, non importa se di pelle nera oppure chiara, uscirà nella notte di una strada di periferia a vendere il proprio corpo […].

Questa notte un’altra Caterina bambina, in fuga dalla fame, dalla guerra, dallo stupro, da paesi che non sappiamo nemmeno che esistono, passata di mano e rivenduta più volte, forse violata e torturata, arrivata dopo un viaggio d’inferno sulle coste della Libia, sarà caricata come una bestia insieme ad altre centinaia di persone nella stiva di un vecchio barcone, […] e lei scende lentamente negli abissi del Mediterraneo […].

Trentamila morti così, in dieci anni, nell’indifferenza totale, mentre a poche miglia di distanza sfilano luccicanti navi da crociera»

(il carattere grassetto è opera mia)

Nessun commento. Solo una domanda: ‘cosa siamo diventati noi occidentali?’

 

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