Tempi bellicosi

Tempi bellicosi sono i nostri.

Guernica è contro la guerraEcco alcune considerazioni tratte da “Guerra e pace” di Tolstoj. Come è noto, il grande scrittore russo racconta la guerra che Napoleone scatenò invadendo la Russia, ma le sue parole hanno un valore universale di condanna di tutte le guerre.
«…  e cominciò la guerra, cioè si compì un fatto contrario alla ragione umana e a tutta la natura umana. Milioni di uomini commisero gli uni contro gli altri così innumerevoli malefici, inganni, tradimenti, rapine, falsificazioni ed emissioni di assegnati falsi, saccheggi, incendi ed assassini, quanti per secoli interi non ne raccoglierebbero gli annali di tutti i tribunali del mondo, e che, in quel periodo di tempo, la gente che li commise non considerò come delitti.»

«Milioni di uomini, abdicando ai loro sentimenti di umanità e alla loro ragione, dovevano andare da occidente a oriente e uccidere i loro simili, così come alcuni secoli indietro erano andate da oriente a occidente valanghe di uomini a uccidere i loro simili. »

“si compì un fatto contrario alla ragione umana” questa frase si lega al titolo di questa conferenza: Il sonno della ragione genera mostri, che è poi il titolo di una delle incisioni che Goya  nel 1797 dedicò ad illustrare i vizi, le perversioni, le malvagità  che affliggono l’uomo sia come individuo che come specie. In questa incisione creature mostruose circondano un uomo che rimane con il capo reclinato su un tavolo. Un commento adeguato a questa immagine potrebbero essere le ultime strofe della canzone di Gaber “I mostri che abbiamo dentro” (dall’Album Io non mi sento italiano, l’ultimo album di Giorgio Gaber realizzato insieme a Sandro Luporini e uscito postumo  a Gennaio 2003 dopo poche settimane dalla morte di Gaber).

Parole terribilmente vicine a noi, visti i tempi… tempi bellicosi.

L’esercizio della lettura non si applica solo alle parole scritte, anche le immagini vanno lette.  Oggi come non mai siamo inondati da immagini quotidianamente, immagini terribili di guerra e distruzione, che ci stordiscono e, giustamente, ci atterriscono e ci indignano. Tempi bellicosi in cui siamo talmente coinvolti a livello emotivo che, forse, c’è bisogno di un distacco per poter vedere meglio, capire di più con la mente oltre che con il cuore, andare oltre gli avvenimenti particolari. L’arte ci aiuta in questo, proponendoci messaggi che vanno al di là del contingente, del circoscritto; messaggi di valenza universale.

Molti pittori, attraverso la raffigurazione simbolica della guerra, parlano di pace.

Henri Rousseau nel 1894 ha realizzato un quadro intitolato La guerra che, pur non avendo un legame diretto con Picasso, da Picasso è stato certamente visto ed apprezzato. È un’opera che ci propone soggetti simili a quelli di Guernica, il capolavoro che esamineremo.

Nel quadro di Rousseau c’è una piramide infernale, dal cui vertice scende l’apocalisse, quella stessa piramide che caratterizza la composizione di Guernica.

Guernica è una cittadina basca che si trova sulla strada verso Bilbao. Il 26 aprile 1937 venne rasa al suolo dagli aerei della legione Condor, mandati dalla Germania nazista che sosteneva le truppe del generale Franco durante la guerra civile spagnola. All’operazione partecipò anche l’Aviazione legionaria italiana, mandata dal governo fascista.

Il bombardamento distrusse completamente Guernica, gli abitanti che fuggivano furono mitragliati  e morirono 1654 persone.

Picasso era a Parigi, dove arrivarono gli echi del disastro: i resoconti degli avvenimenti sui giornali francesi colpirono molto Picasso e quando accettò di partecipare all’allestimento del padiglione spagnolo per l’Esposizione internazionale che si tenne a Parigi dal 25 maggio al 25 novembre del 1937, decise di raccontare l’orrore di Guernica.

Questa grande tela (349 x 776 cm), se non riscosse subito un interesse particolare, in poco tempo divenne un manifesto pacifista, un atto d’accusa atemporale ed esemplare che mette in primo piano le sofferenze della popolazione civile.

Parlare di quest’opera è difficile di fronte al numero imponente di interpretazioni che si sono accumulate nel corso degli anni, anche perché è una pittura che riguarda tutte le storie, personali e universali, un’opera polisemica, stratificata, dove ogni simbolo ha molti significati che implicano gli avvenimenti storici di quel periodo e nello stesso tempo ci raccontano della vita privata dell’artista, del suo rapporto con la patria, del suo impegno civile, della sua collocazione nel mondo.

Riportiamo in nostra traduzione un testo poetico che già nel 1937 scrisse Michel Leiris.

“Il mondo tramutato in camera d’albergo ammobiliata – dove tutti noi, gesticolando, attendiamo di morire -, il sole ridotto alle proporzioni di una lampadina elettrica che fa luce a due dita dalle nostre teste in una sordida intimità, i tormenti del cavallo, contorto, come un  Pegaso caduto all’improvviso in un’orrida trappola, il toro – unico vincitore – che scaglia le sue corna come fossero dardi, i personaggi convulsi, la dura tavola, l’uccello che si sgola: inutile cercare parole per descrivere questa condensazione della nostra catastrofe nera e bianca, la vita che noi viviamo, simili ai pezzi di una scacchiera in grado di sentire, come fossero coltelli, tutti i rapporti ostili che si stabiliscono tra loro; secondo il piacere dei giocatori e senza che i loro sussulti di dolore possano minimamente incrinare le regole di una selvaggia geometria.
Prendere una penna, allineare parole come se dovessero aggiungere qualcosa a Guernica di Picasso, è tra tutti i compiti il più inutile.
In un rettangolo bianco e nero – tale ci appare l’antica tragedia – Picasso ci invia il biglietto di condoglianze: tutto ciò che amiamo sta morendo, e perciò, alla fine, era necessario che tutto ciò che amiamo si riassumesse, come l’effusione dei grandi addii, in qualcosa di bello e indimenticabile.
Come il grido del “cante hondo”, il canto profondo del flamenco, deve attendere di essere elevato fino alla gola del cantante per ricoprirsi di madreperla  e per trasformare la piaga venuta dalla terra in materia iridescente, allo stesso modo tra le dita di Picasso si cristallizzano e diventano diamanti i vapori neri e bianchi, respiri di un mondo in agonia, che le più orride meteore, come pugnali contro il nostro amore, trapasseranno fino alle ossa.”

Per capire meglio l’opera di Picasso ci affidiamo a Laurent Gervereau, un grande storico contemporaneo  dell’immagine, che ha analizzato Guernica in ogni suo aspetto nel libro Autopsia di un capolavoro. In una necessaria nostra sintesi queste sono le sue righe finali.

tempi bellicosi

Contro i tempi bellicosi

“La porta aperta è quella di un altrove, l’insieme si iscrive all’interno di una stanza vuota che fa pensare ad una scena di teatro. Su questa scena si svolge un dramma. O piuttosto lo schema di un dramma, le parti ritagliate di un dramma. Un dramma complesso, frazionato, impossibile da cogliere nella sua interezza. Un dramma prismatico dove l’occhio è rimandato da un elemento all’altro; come nella lettura dei giornali che catapultano i titoli, facendo rimbalzare la vista da una scritta alla seguente: un insieme di cui non si può cogliere tutto.
A destra una donna cade alzando le braccia in un appello disperato della vita contro la morte, affondando nella follia della sofferenza. Urlo in mezzo alle urla davanti ad una finestra aperta, forse illuminata, forse incendiata, dove nessuno appare.
Una donna tende un lume fuggendo dalle fiamme e implorando pietà.
Ed è la stessa donna che fugge, con le braccia abbandonate, ventre a terra, inciampando nelle vesti e sembra dire: «Perché tutto questo, mio Dio?». Supplica impotente davanti agli avvenimenti.
La lampada plafoniera è un elemento decisivo: è l’agente del bombardamento, la maledizione divina che punisce le invenzioni tecnologiche non padroneggiate. Solamente la lampada a petrolio vi si oppone, simbolo di un passato nostalgico, di un tempo in cui i conflitti non distruggevano nella stessa misura città e popolazione civile. Al di sotto della deflagrazione, il cavallo occupa la posizione centrale. È una giumenta immolata che urla il suo dolore. La sua agonia ricorda l’agonia delle vittime “secondarie”, non direttamente implicate, le vittime che subiscono  gli effetti violenti degli scontri. Il cavallo diventa così una rappresentazione simbolica pacifista. Coperto di segni tipografici, è un’evocazione degli avvenimenti attraverso la loro trascrizione; è la battaglia della comunicazione, della stampa sacrificata quando afferma la verità.
Il guerriero incarna la morte, è il solo a terra, esangue. La sua testa, calva, bianca come le ossa di uno scheletro, la bocca aperta in un rantolo che annuncia la fine. Nel pugno riverso stringe ancora una spada spezzata, simbolo della sua disfatta e della sua impotenza.
La colomba sul tavolo, attraversata da un raggio di luce che la rivela  e la cancella, evoca l’infanzia, la Spagna, Malaga, le città mitragliate. Urla, il collo teso, supplicante. Ormai nulla sarà come prima.
La madre con il bambino è una Madonna dolente: anche la religione è calpestata. Anche le opere d’arte.
Ma il personaggio principale è il toro. Quello verso cui tutti gli sguardi convergono. L’oracolo. Ha gli occhi di Picasso. Minotauro rovesciato, fissa lo spettatore. È Picasso di fronte ai drammi che lo assillano: la catastrofe è là. La Spagna, l’infanzia distrutta, l’esilio. Mostro né uomo né bestia, né presente né passato, ibrido che racchiude in sé l’artista e il popolo spagnolo, ci scruta, ci interroga, la sua indifferenza ci provoca, guarda l’agonia dei civili e resta impassibile, è terribile, è un freddo dio antico congelato dallo spettacolo, dalla morte che viene da lontano, dall’oblio indistinto.
Questa è la tela dell’urlo. Delle urla. Delle urla silenziose. Delle bocche aperte. Dei rantoli. Della rabbia. Dell’impegno. Dell’impegno universale contro la guerra.”

Contro la guerra si dipinge, si scrive, si canta. Una delle più celebri canzoni pacifiste è La guerra di Piero di Fabrizio de André, il cui testo è ormai presente in molte antologie scolastiche.

letture per la pace

In questi tempi bellicosi bisogna parlare di pace

Contro la guerra si scrivono Lettere come quelle di Tiziano Terzani.
In questo libro troviamo una serie di lettere di viaggio dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’India e dall’Himalaya. Sono lettere che raccolgono le voci dell’Altro, di chi è diverso da noi occidentali; infatti «se vogliamo capire il mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista». Secondo l’autore invocare lo scontro di civiltà, ridurre tutto ad una crociata contro il terrorismo e massacrare vittime innocenti in nome di una pretesa difesa della civiltà occidentale, oltre a nascondere le vere ragioni che muovono le grandi potenze, innesta un pericoloso gioco di vendette reciproche che possono solo avere un esito fatale per tutta l’umanità. Il suo è un pellegrinaggio di pace.
Tomaso Montanari, nell’introduzione, scrive: «o il vero obiettivo è l’abbattimento dell’altro (e qui si aprono scenari dall’esito fatale), oppure l’Occidente dovrebbe far di tutto per costruire ed affrettare la pace, non per alimentare la guerra teorizzando uno scontro tra civiltà».

 

I nuovi barbari

Tempi bellicosi e barbari

La guerra fabbrica eroi? La retorica, che sempre si accompagna alle incitazioni alla guerra, nasconde realtà dolorose e perdite irreparabili e spesso gli eroi non sono tali per libera scelta. La guerra produce lutti e sofferenze lasciando vuoti incolmabili. La retorica della guerra nasconde anche le cause occulte che la producono. Nel suo ultimo libro, uscito pochi giorni fa, Paolo Rumiz afferma: «La Bosnia mi ha aiutato a capire cose essenziali del mondo. Per esempio, come la macchina irrazionale dell’odio venga costruita razionalmente da manipolatori al servizio di poteri innominabili, e come l’uomo manipolato possa ritornare alle caverne. Lì mi sono reso conto che le guerre possono scoppiare anche dove sembra impossibile, e che lo scontro tra nazioni porta sempre a una disfatta delle medesime e al trionfo del capitale straniero.»

La certezza incontrovertibile della guerra è che produce lutti e sofferenze lasciando vuoti incolmabili.
De André nella sua Ballata dell’eroe ci ricorda che molte medaglie sono date alla memoria.

Nelle guerre le vittime civili più indifese sono i bambini.

la crociata dei bambini

Tempi bellicosi e terribili per i bambini

La crociata dei ragazzi è una composizione scritta da Bertolt Brecht, scrittore tedesco, drammaturgo tra i più importanti del Novecento. Si racconta la storia di 55 bambini che, rimasti senza l’aiuto degli adulti, cercano di scappare dalla Polonia nel 1939. Forse è successo veramente. In questa lunga poesia Brecht racconta la loro storia disperata, la loro infanzia affamata e senza punti di riferimento, la loro capacità di aiutarsi e rimanere uniti al di là delle divisioni provocate dalla guerra. E soprattutto il loro desiderio di pace e di sicurezza.

Ecco il testo tradotto da Ruth Leiser e Franco Fortini.

In questi tempi bellicosi un po’ di speranza ci viene da queste due due poesie dedicate ai bambini, ma che fanno tanto bene anche agli adulti.

Da Rodari 

Promemoria

Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.

Dopo la pioggia

Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.

 

 

 

 

 

 

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