Due sono i protagonisti di questo intervento: il filosofo e il pittore, e tra di loro c’è la Figura.
Chi è Gilles Deleuze?
Nato a Parigi nel 1925 e morto suicida, sempre a Parigi, nel 1995, è stato fin dagli anni Sessanta un protagonista della cultura francese e internazionale. Autore di opere filosofiche ben presto considerate punto di riferimento, si è occupato anche di letteratura, psicanalisi, politica, cinema, ed infine di pittura. La sua analisi dei quadri di Bacon ci permette una comprensione approfondita dell’arte di questo pittore.
Chi è Francis Bacon?
Nato a Dublino nel 1909 e morto a Madrid nel 1992, è uno dei maggiori pittori del Novecento assieme a Picasso. Un artista che può non piacere, ma dal quale non si può prescindere. E, se vogliamo essere venali, l’autore di opere tra le più valutate nelle aste che contano.
Che cosa ci stanno a fare assieme?
Naturalmente la risposta ovvia è: Deleuze ha scritto un libro intitolato Logique de la sensation che analizza l’opera di Bacon. Ma c’è dell’altro. C’è sempre dell’altro quando due complessità vengono messe in relazione. Non è una somma, ma un moltiplicare all’infinito che apre la strada a quesiti interessanti.
Come quello che viene posto dai due curatori del libro di Deleuze, che sottolineano come il pensiero si intreccia con la pittura.
«Le livre de Gilles Deleuze sur Francis Bacon est bien autre chose que l’étude d’un peintre par un philosophe. Est-il du reste “sur” Bacon, ce livre? Et qui est le philosophe, qui est le peintre? Nous voulons dire : qui pense, et qui regarde penser ? On peut certainement penser la peinture, on peut aussi peindre la pensée[…]» (Alain Badiou e Barbara Cassin).
L’individuo su una zattera
Deleuze e Bacon si somigliano? Certamente no, ma c’è qualcosa che li unisce. Si stabilisce un intreccio in cui spariscono somiglianze superficiali, ma emergono consonanze più profonde.
E allora potremmo azzardare che la Figura dipinta da Bacon viaggia nei libri di Deleuze. Il filosofo, reinterpretando Nietzsche e trasformando il concetto di Superuomo, descrive l’uomo moderno come un individuo senza passato e ignaro del futuro che su una zattera fende i flutti del mare. In ciò Deleuze è un precursore dell’idea che vede l’essere umano in lotta contro forze preponderanti, alla ricerca di un suo percorso tra le molteplici vie che la globalizzazione confonde in un caos infinito.
Su una zattera in un mare in tempesta, appunto, o in equilibrio precario su una sbarra, o in bilico su una struttura instabile (Trittico, 1970)
L’essere umano di cui parla Deleuze a me pare il corpo-Figura di Bacon.
Viaggio all’interno della sensazione
Deleuze analizza uno per uno gli elementi che compongono i quadri di Bacon, in un ordine che procede dal più semplice al più complesso: «Chacune des rubriques suivantes considère un aspect des tableaux de Bacon, dans un ordre qui va du plus simple au plus complexe. Mais cet ordre est relatif, et ne vaut que du point de vue d’une logique générale de la sensation. Il va de soi que tous les aspects coexistent en réalité. Ils convergent dans la couleur, dans la « sensation colorante », qui est le sommet de cette logique.»
Dunque è un viaggio all’interno della sensazione, più precisamente all’interno della sensazione legata al colore. Deleuze ci propone ragionamenti complessi per seguire i quali non basta di sicuro una conferenza; bisognerebbe analizzare questo ricchissimo libro in un seminario per apprezzarne appieno i procedimenti dialettici, a volte tortuosi e divaganti. Spesso faticosi. Ma la fatica di seguire questi percorsi è ampiamente ricompensata dalla capacità del filosofo di guidarci ad una meta chiara ed evidente. Così alla fine di ogni capitolo, e veramente ogni capitolo richiederebbe una conferenza a sé, uno può dire: finalmente ho capito!
L’isolamento della Figura
Nei quadri di Bacon un elemento centrale è l’isolamento della Figura. Il pittore la inserisce all’interno di un cerchio, di un cubo, di un’intelaiatura fatta di linee vagamente propettiche (Tre studi di Lucian Freud, 1969), di un parallelepipedo di vetro o di ghiaccio.
Oppure la colloca su una sbarra, allungata come su un arco magnetico di un cerchio infinito. «… sur une barre étirée, comme sur l’arc magnétique d’un cercle infini; … »
In questo modo la Figura non è immobile, ma si suggerisce una specie di esplorazione del luogo in cui è posta, ed anche su se stessa.
Ci si può chiedere: dove va? che cosa fa? che cosa sta avvenendo? Avviene l’avvenimento: ciò che ha luogo, questo rapportarsi della Figura al suo luogo o a se stessa, è il fatto, l’avvenimento. E la figura così isolata e ripiegata su se stessa, diventa un’Immagine, un’Icona. «Et la Figure ainsi isolée devient une Image, une Icône.»
Ciò che Bacon vuole scongiurare è il carattere narrativo del quadro. Vuole liberare la Figura dalla noia di raccontare una storia.
Lo sfondo
La Figura occupa solo una parte del quadro. Il resto è costituito da ampie stesure di colore uniforme. Un colore immobile che crea spazio.
«…grands aplats de couleur vive, uniforme et immobile. Minces et durs, ils ont une fonction structurante, spatialisante.»
Queste stesure non sono sotto la Figura, e neppure dietro o davanti: sono sullo stesso piano, sono due soggetti uno accanto all’altro. Non c’è dunque profondità o allontanamento. (Trittico, Studio per un autoritratto, 1985)
C’è invece una vista frontale e ravvicinata, su cui l’occhio dell’osservatore procede come il tatto: scivola dal fondo alla Figura, come se fosse una mano che scorre sulla superficie di un bassorilievo.
Deleuze, a tal proposito, parla di visione aptica, cioè di quella visione che si fonda sulla sensibilità tattile dell’individuo verso il mondo adiacente al suo corpo. Vedere le cose come se le toccassimo.
Bacon l’Egiziano
Ed è in questo contesto che parla di Bacon “l’Egiziano”.
Lo storico dell’arte Alois Riegl scrive interessanti note sui caratteri del bassorilievo nell’antico Egitto (bassorilievo dal Tempio di Kom Ombo). Afferma che in questo tipo di arte si opera la connessione più rigorosa dell’occhio e della mano attribuendo così una funzione tattile alla vista. Si propone una visione ravvicinata, frontale. Il contorno delle figure è rettilineo oppure è una curva regolare che isola la forma in un’unità chiusa: essa diventa essenza sottratta al cambiamento e alla corruzione, diventa presenza immutabile ed eterna.
Questa è l’arte antica egiziana.
C’è tutto Bacon, ma con una differenza sostanziale. Nell’opera di Bacon si insinua la caduta, la catastrofe. E a questo dobbiamo arrivare.
I tre elementi compositivi essenziali
Tra la stesura di colore uniforme, che possiamo chiamare sfondo, e la Figura c’è un limite comune, che può essere costituito da un cerchio (Trittico, Studi del corpo umano, 1970) o da una pista, insomma da un luogo: è il contorno condiviso da sfondo e Figura.
Vengono così individuati i tre elementi essenziali dei quadri di Bacon: lo sfondo, la Figura e tra essi il luogo-confine, che possiamo chiamare contorno. Ed è in questo terzo elemento che avvengono dei movimenti. Infatti funziona come una membrana, un luogo di scambio.
Attesa dell’evento e testimoni delle variazioni
Che cosa passa attraverso il confine?
La Figura, seduta su una sedia, o coricata su un letto, sembra proprio in attesa di un evento (Trittico, Tre figure in una stanza, 1964).
Quel che succede, o è già successo, però, non è una rappresentazione.
E non possono esserci, dunque, spettatori, perché spettatori significa spettacolo, e questo il pittore non lo vuole. Lo dimostra con le diverse versioni che realizza sul tema della tauromachia: dalle prime due versioni in cui appare nel pannello un pubblico, si passa alla terza dove gli spettatori sono eliminati.
I testimoni
Tuttavia in molti casi accanto alla Figura ve ne sono altre, che hanno come funzione quella di testimoniare; non sono spettatori, ma testimoni: sono una costante rispetto alla variazione che avviene attraverso il contorno.
In L’Homme et l’enfant del 1963 vediamo un uomo in contorsione su una sedia e accanto una bambina in piedi, rigida come un palo. Le figure sono separate dalla porzione di spazio che fa angolo tra i due. Non si capisce chi siano i due, che cosa li unisca. La bambina sembra essere la testimone di ciò che accade all’uomo. Testimone, non nel senso di spettatore, ma nel senso di una costante rispetto alla quale si misura una variazione. Per questo è rigida, mentre il corpo dell’uomo si contorce.
«C’est pourquoi la fille est raide comme un piquet, et semble battre la mesure avec son pied bot, tandis que l’homme est saisi dans une double variation, comme s’il était assis sur un siège réglable qui le monte et le descend, pris dans des niveaux de sensation qu’il parcourt dans les deux sens.»
Deleuze osserva che è un po’ come per i personaggi di Beckett, che hanno bisogno di testimoni per misurare le intime variazioni del corpo, per poterle osservare nella propria testa: “Mi ascolti? C’è qualcuno che mi guarda? C’è qualcuno che mi ascolta? C’è qualcuno che abbia la minima cura per me?” . Parole che evocano una solitudine straziante. E che ben si adattano alle Figure baconiane.
Atletismo
Ed arriviamo così a definire il fatto, che avviene attraverso il contorno: un movimento, anzi due movimenti, uno dallo sfondo alla Figura, l’altro dalla Figura allo sfondo. Ed effetto del movimento è la variazione.
Il primo movimento dà l’impressione che lo sfondo si avvolga attorno al contorno per imprigionare la Figura, che accompagna questo movimento con tutte le sue forze. L’effetto è una sensazione di grande solitudine della Figura, un estremo imprigionamento del corpo.
Nello sforzo per assecondare l’avvolgimento dello sfondo, la Figura si contorce : è la formula che Deleuze nomina come Atletismo.
A volte è un atletismo derisorio, violentemente comico: gli organi del corpo diventano delle protesi (Tre studi del corpo umano, 1967).
Nel corpo, che è costituito da carne ed ossa, le ossa diventano gli attrezzi ginnici con cui la carne compie i suoi esercizi di atletica. Vista sotto questa ottica, la Figura diventa ancor più ridicola, ma con una sfumatura di orrido e ripugnante. Veramente c’è da invocare pietà per la carne! Eppure, a più riprese, Bacon ha rifiutato questa etichetta di crudele accanimento. Non è sua intenzione impressionare con spettacoli di miseria umana, non vuole creare disgusto. Ma certamente vuole colpire il sistema nervoso, vuole tirarci dentro il quadro attraverso vari livelli di sensazione.
Punti di fuga
Tutto ciò è ancor più evidente se si considera il secondo movimento di cui parlavamo: la tensione che spinge la Figura verso lo sfondo.
Il corpo diventa sorgente di movimento al suo interno, è un fascio di nervi percorso da spasmi: la Figura cerca di scappare.
Aggrappato all’ovale del lavabo, incollato ai rubinetti con le mani, questo corpo cerca di scappare con uno sforzo intenso, reso più spasmodico dall’immobilità della Figura, vuole fuggire da se stesso come da una prigione, passare attraverso un buco minuscolo come quello dello scarico. «…accroché à l’ovale du lavabo, collé par les mains aux robinets, le corps-figure fait sur soi-même un effort intense immobile, pour s’échapper tout entier par le trou de vidange.» (Figura al lavabo, 1976)
Questo “cupio dissolvi” attraverso dolorose contrazioni diventa ancor più disperante e impudico, perché raffigurato nelle funzioni corporali più intime e nascoste (Trittico, maggio-giugno 1973).
E l’ombra del corpo ? Acquista una presenza autonoma nel momento stesso in cui cerca di fuggire dal corpo. O forse è ancora il corpo che tenta di sparire attraverso la sua ombra?
Ma anche, il grido, il famoso grido su cui tanto si è scritto, è l’operazione per cui il corpo tutto fugge attraverso la bocca (Studio dal ritratto di Innocenzo X).
«Et le cri, le cri de Bacon, c’est l’operation par laquelle le corps tout entier s’échappe par la bouche.»
Il contorno, quel luogo di confine tra Figura e sfondo, prende una nuova funzione, perché non è più piatto, ma disegna un volume scavato e comporta un punto di fuga.
Arriviamo ad un’altra immagine ricorrente nei suoi quadri: l’ombrello. Gli ombrelli di Bacon sono il corrispettivo del lavabo.
Nelle due versioni di “Quadro” 1946 e 1971, la Figura sembra imprigionata dentro una balaustra, ma allo stesso tempo è come se si facesse risucchiare dalla cavità dell’ombrello, tutta tesa a scappare da una punta di questa cavità semisferica. Non rimane altro che un sorriso abbietto. «… on ne voit déja plus que son sourire abject.»
Sempre, quando compare un ombrello ci sono punte: funzionano come via di fuga.
Anche gli specchi sono punti di fuga, non sono superfici riflettenti.
Lo specchio è uno spessore opaco, talvolta nero: il corpo ci si butta dentro, anche con la sua ombra. Un incubo pieno di fascinazione: il corpo sembra allungarsi, appiattirsi, stirarsi nello specchio, ma non va al di là come Alice, si contrae come se volesse sparire dentro il sottile spessore. «Le corps semble s’allonger, s’aplatir, s’étirer dans le miroir, tout comme se contractait pour passer par le trou» (Trittico, 1974-77).
Addirittura la testa si spacca e si distribuisce dentro lo specchio come un pezzo di strutto che si scioglie nella minestra. «… comme un bloc de graisse dans une soupe.»
Forze deformanti
Le deformazioni del corpo sono il risultato di forze che lo investono, forze istintive, come voglia di dormire, di vomitare, di sbadigliare. il corpo si raggomitola su se stesso, assume delle posture assurde e involontarie. Una deformazione in divenire, in continua mutazione.
L’onda della sensazione percorre il corpo e a vari livelli crea organi provvisori in perpetua trasformazione.
Quando Bacon parla di livelli di sensazione intende proprio questo: i livelli sono istantanee di un movimento che viene ricomposto sinteticamente.
Quello che il pittore vuole trasmettere è questo ritmo istintivo che non ha nulla a che vedere con il pensare razionalmente, ma che è profondamente vitale.
Queste forze sono invisibili, ma se ne vedono gli effetti.
Soprattutto nei ritratti: queste teste sono immobili e tuttavia agitate da forze di pressione, dilatazione, contrazione, appiattimento, stiramento.
«C’est comme des forces affrontées dans le cosmos par un voyager trans-spatial immobile dans sa capsule.»
Dalla catastrofe alla Figura
A proposito di queste teste, c’è da notare che Bacon ritrattista in realtà non dipinge volti. Il suo progetto è invece quello di disfare il volto per far emergere la testa che è sotto il volto, uno scavo per ritrovare l’essenza della persona ritratta (Trittico, Tre studi per un ritratto di George Dyer).
Ed allora è tutto un lavorio di cancellamento, spazzolamento, ripulitura. Non solo nei ritratti. È il suo modo di dipingere e riguarda il suo concetto di pittura. Infatti Bacon pensa che un pittore non abbia davanti a sé una superficie bianca. Sulla tela o nella testa dell’artista o attorno a lui sono già depositate immagini che rischiano di diventare dei clichés. Per evitare di perdersi nella banalità, bisogna giocare d’azzardo (Bacon era un giocatore incontenibile). Il giocatore Bacon gioca a tre tavoli contemporaneamente, “colpo su colpo” , fa segni a caso, ripulisce, spazza via, getta pittura per ricoprire certi segni. Provoca un caos, una catastrofe: il crollo di tutti i dati figurativi.
«Le chaos et la catastrophe, c’est l’écroulement de toutes le données figuratives….»
Ma allora chiunque può dipingere così (in un’intervista Sylvester gli fa osservare che anche la donna delle pulizie potrebbe realizzare un quadro). Ovviamente non è così semplice. Solo la mano dell’artista sa guidare l’azzardo. Sa estrarre la Figura improbabile dall’insieme delle possibilità figurative.
«… extraire la Figure improbable de l’ensemble des probabilités figuratives»
Sonni e risvegli isterici
Nei Trittici le Figure si ripetono e c’è da chiedersi che rapporti ci siano tra questi corpi in movimento. Non ci sono legami narrativi o logici, ma sensazioni derivanti da varie forme di opposizione: discesa-salita, contrazione-distensione, nudo-vestito, aumento-diminuzione. Insomma c’è tutto un gioco di valori ritirati o aggiunti, che potremmo definire “sonni e risvegli isterici” che colpiscono varie parti del corpo.
L’isteria riguarda il sistema nervoso: è in ciò che siamo colpiti. E il colore gioca la sua parte. Infatti c’è un trattamento cromatico diverso per il corpo e per lo sfondo. Questi organi in perpetua mutazione assumono tonalità diverse sotto l’onda della sensazione che percorre il corpo. Lo sfondo rimane uniforme, immobile. Ma nel quadro è stato introdotto il fattore tempo. Al monocromatismo dello sfondo si oppone il cronocromatismo del corpo.
Tra le opposizioni che caratterizzano i trittici, quella più presente è la caduta. Le Figure di Bacon rischiano sempre di cadere. Diventano così dei trapezisti in mezzo alla luce e al colore. Nel trittico si realizza la separazione dei corpi nella luce universale, nel colore universale. C’è un immenso spazio-tempo che riunisce tutte le cose, introducendo però tra esse le distanze di un deserto, i secoli di un’eternità.
«C’est un immense espace-temps qui réunit toutes les choses, mais introduisant entre elles les distances d’un Sahara, les siècles d’un Aiôn» (Trittico, Studi del corpo umano, 1970).
La sparizione della Figura
C’è un’evoluzione nell’attività di Bacon? Se Sylvester individua tre fasi, Deleuze ne aggiunge una quarta, quella della sparizione della Figura.
Questa Figura in eterna fuga dove va a finire? Il corpo ha finalmente raggiunto lo sfondo dove si dissolve.
Deleuze ipotizza che stia nascendo un tipo di astrazione “baconiana”, dove non ci sia più bisogno della Figura. E che il destino di caduta e sparizione si sia effettivamente avverato.
«La Figure s’est dissipée en réalisant la prophétie : tu ne seras plus que sable, herbe, poussière ou goutte d’eau…» (Duna di sabbia, 1983); (Getto d’acqua, 1988) .
Bacon ha spesso sostenuto che nei suoi quadri non vuol comunicare altro che ciò che si vede e che è inutile cercare simbologie o spiegazioni metafisiche. Mi sembra difficile non cogliere in questo suo ultimo esito il destino di dissolvimento dell’essere umano nel nostro mondo attuale,globalizzato e omologato, dove sono cancellate le differenze individuali e dissolte le singole personalità.