Anne Holt
La porta chiusa
Traduzione di Giorgio Puleo
Einaudi 2009
All’inizio sembra quasi che Kristiane, la figlia maggiore di Johanne, sia il termometro della situazione mondiale, sembra che avverta un pericolo incombente («Poi iniziò a piangere, un pianto silenzioso e inconsolabile»); ma, dopo aver dato l’incipit, la bimba scompare dal romanzo, affidata al padre, perché Johanne fugge da casa con la figlioletta più piccola, fugge dal suo passato dove giganteggia la figura di Warren Scifford, di cui lei non vuole parlare con nessuno, fugge da Ingvar; è il romanzo della loro crisi: «Non so per quanto tempo riuscirò ancora a sopportare la tua doppia personalità. Il contrasto fra la donna gentile, intelligente e di buon senso che amo e la persona irascibile, pronta a sfoderare gli artigli per motivi incomprensibili, mi strazia. I tuoi segreti sono troppo grandi, Johanne. Troppo grandi per me e troppo grandi per te stessa».
Intrecciata alla storia personale c’è quella del caso in questione, ed è di dimensioni mondiali: è sparita la prima presidente donna degli Stati Uniti, mentre era in visita ad Oslo; alla sua ricerca si dedica tutta la polizia di Oslo in perenne contrasto con le forze investigative americane che spadroneggiano (e intrecciano intrighi) senza rispetto per nessuno.
In questa trama complessa ci imbattiamo in personaggi della Holt appartenenti ad altra serie (Hanne Wilhelmsen con Marry la Zarra): d’accordo, Oslo è piccola, ma non costituiscono una forzatura tutte queste coincidenze?
Romanzo giallo, ma molto infarcito (tuttavia con equilibrio) di osservazioni sul comportamento degli Americani, sul loro essere particolarmente vulnerabili dopo l’11 settembre (la storia si svolge nel 2005), sui loro nervi scoperti; e di conseguenza, sulla loro sconfinata arroganza nel voler risolvere a modo loro le questioni: «Forte limitazione del traffico aereo… Divieto totale di quello proveniente da alcuni paesi, per lo più islamici. Consistente riduzione del personale negli uffici pubblici. Scuole chiuse fino a nuovo ordine… È facile capire quello che temete. Vi aspettate altri attacchi».
Interessante il punto di vista del “nemico arabo”:«… ancora si stupiva quando sentiva persone peraltro istruite parlare dei valori americani riferendosi con convinzione alla famiglia, alla pace e alla democrazia. … la questione dei valori era stata la sola carta in mano a Bush per essere rieletto… George W. Bush aveva cercato di trasformare la sanguinosa, fallimentare, apparentemente interminabile guerra irachena in una questione di valori». «Osama, il suo amico d’infanzia, voleva distruggere e credeva di aver vinto, l’11 settembre, ma Abdallah sapeva che non era così. La catastrofe a Manhattan era stata una sconfitta. Non aveva distrutto gli Stati Uniti, li aveva soltanto cambiati. In peggio. … Abdallah si era reso conto che gli americani avevano un solo vero nemico: se stessi».
Non certo più tenero è un giovane americano (tacciato di comunismo) nei confronti dei suoi connazionali: «… abbiamo solo tre necessità… La prima è il diritto di andare in macchina dove vogliamo, quando vogliamo e per quattro soldi… La seconda è il diritto di fare shopping dove vogliamo, quando vogliamo e per quattro soldi… E la terza è il diritto di… il diritto di guardare la TV quando vogliamo, dove vogliamo e per quattro soldi…». «Togli all’americano medio l’auto, lo shopping e la Tv e gli togli la voglia di vivere». Annotazioni interessanti, abbastanza integrate nella storia, ma lo svolgimento della narrazione ne risente.