Mingotti Ivano
Sotto il sole nero
Il mondo è oscurato, fisicamente dalla cancellazione del cielo azzurro e politicamente dalla dittatura del Ductor (allegoria, ahimé, del presente?).
Tante voci concorrono a delineare la situazione – e tanta è l’angoscia che evoca, che rimane sospesa nell’aria a mozzare il respiro.
Anche se, volta per volta, è un singolo ad esternare le sue ansie, le sue paure, la sua vita, è come se parlasse una voce collettiva, che accomuna tutti in un indistinto mormorio e, proprio per questo, l’ effetto è ancor più desolante; è un’umanità varia, dall’omosessuale incompreso dalla famiglia e tendenzialmente rivoltoso alla madre distrutta dal lavoro e poi, senza più i figli, desiderosa solo di morte; fino all’ “allegro” assassino seriale costantemente impunito che finalmente incontra e assume la sua missione; e poi altri, la madre stuprata che vuol solo preservare il figlio dall’orrore, l’addetto al cannone da sfilata che odia il regime ma lo serve, il rugoso burocrate nostalgico del suo osceno passato di massacratore.
E naturalmente il Ductor, che comparirà solo alla fine – e nella dimensione che si merita. Le domande ineludibili:
“c’è speranza di uscire da questo triste mondo schiacciato ed umiliato? da questo massacro di vittime per lo più innocenti?”
«Ma la speranza non muore mai.
E la speranza accoglie le vittime, sperando siano le ultime.»
“da dove arriva la salvezza? l’umanità aspetta ancora che qualche entità trascendentale la sollevi dalla responsabilità del proprio destino?”
«…»
Il ritmo corale della narrazione (mi viene in mente David Grossman) fa desiderare una scena teatrale; un teatro greco, con tanto di coro, appunto; lo richiede la scrittura con frequenti iterazioni, che non scende in profondità, che non si carica di sensi occulti, ma che viene declamata e rimane in attesa dell’eco.
Che si estende e si restringe, ritorna su se stessa – e crea ansia.
In questo modo di procedere vi sono dei rischi: in effetti, in qualche punto le ripetizioni sono sforzate e le battute – pensando ad un testo teatrale, come mi appare questo – perdono efficacia. Ma in generale il pericolo della retorica è tenuto a bada dalla nudità del testo che allinea parole scarne e precise.
Assai convincenti, e commoventi, i “se” (nove è un numero scaramantico?).