Manuel Vázquez Montalbán
La bella di Buenos Aires
Traduzione di Hado Lyria
Feltrinelli 2013
Pubblicato a puntate su El País nel 1997. Vi ritroviamo Pepe Carvalho con il suo umore malinconico-sarcastico, c’é Biscuter nelle vesti dell’intellettuale innovatore tecnologico, c’è uno spassosissimo ispettore Lifante che si esprime attraverso le parole di Roland Barthesma che non è poi così diverso dai poliziotti del passato regime… La vicenda richiama in vita fantasmi degli orrori passati: una barbona viene ammazzata a Barcellona, una sopravvissuta alla dittatura argentina chiede a Carvalho di rintracciare una donna che anni prima era fuggita in Spagna da Buenos Aires inseguita dai militari.
Così tra le esternazioni semiologiche di Lifante, le apparizioni di un’umanità dolente ed emarginata, l’attività ingegnosa di Biscuter, la ricerca incessante – e spesso deludente – della verità da parte di Carvalho («Passi la vita come un verme a percorrere il dritto di una foglia desideroso di scoprire che cosa c’è dall’altro lato. Cosa c’è? Il rovescio. E come un verme ti trascini per vedere che cosa c’è oltre il rovescio. Cosa c’è?» «Il dritto. Bella metafora. È sua?»), la maliconica constatazione che ormai la città vecchia è destinata ad essere cancellata dalla “modernità”, tra tutto ciò emergono, da zone oscure che si credevano ormai sepolte, le trame di poteri occulti.
Poteri sempre spietati, sempre operanti, sempre uguali a se stessi.
Poteri che neppure ti spiegano perché vogliono schiacciarti: «I padroni della realtà ci lasciano vedere gli avanzi della realtà… Appena ti avvicini al potere, la cosa si complica…».
La scrittura di Montalbán procede con tagliente crudezza; non lascia scampo; nulla è concesso al sentimentalismo. Certe frasi sono come mozzate, senza pietà. Del resto è questo che si addice ad una vicenda in cui l’assassino è la Storia, quella con la esse maiuscola.