Goodbye, Columbus

Philip Roth
Goodbye, Columbus
e cinque racconti
Traduzione di Vincenzo Mantovani Einaudi 2012

Goodbye, Columbus è la storia d’amore di Neil Klugmann e Brenda Patimkin.
È stato pubblicato per la prima volta nel 1959, dunque è un’opera giovanile; ha tuttavia la maturità dello scrittore di classe; del resto, come dice Saul Bellow:  «A differenza di quelli fra noi che vengono al mondo ululando, ciechi e nudi, Mr Roth è comparso con unghie, denti e capelli, sapendo già parlare…».
Una storia raccontata con tocco leggero, scanzonato… e non promette nulla di buono: cominciano così, spesso, le banali e malinconiche tragedie (piccole, per carità, ma sempre tragedie) quotidiane. Neil, povero,  si avvicina alla società di arricchiti, volgari abbastanza, sospettosi, di cui fa parte Brenda, e lei è ai suoi occhi speciale, ma sono occhi ben aperti che valutano con ironia le stupidaggini ridicole e la superficialità ignorante di quel mondo vacuo.
Il primo dei cinque racconti che seguono, “La conversione degli ebrei“, vede la divertente performance di un ragazzo che oppone all’autorità del suo rabbino ferrei ragionamenti su questioni religiose.
In “Difensore della fede”  il protagonista, sergente tornato in patria nel 1945 dopo glorioso servizio in Europa e diventato istruttore, è alle prese con una recluta che pretende privilegi in nome della comune fede ebraica.
Terzo racconto: “Epstein”, rispettabilissimo capo di una ditta, che si perde nelle malinconie sessuali della terza età.
Quarto racconto: “Non si può giudicare un uomo dalla canzone che canta“, vicende di scuola e di inno americano.
Infine, “Eli, il fanatico“, avvocato nevrotico alle prese con alcuni  immigrati ebrei che non hanno ancora superato il trauma dei campi di concentramento e che non vogliono, o non possono, convertirsi alla modernità di una società ebraica ormai perfettamente integrata. In tutte queste storie si guarda alla “separatezza”, alla diversità ebraica, in genere con ironia; a volte si accentuano le connotazioni ridicole di certi atteggiamenti e i personaggi diventano macchiette.
Ma in profondità si legge quel lamento atavico, doloroso e triste, di un popolo da sempre scacciato ed emarginato.
Perché la mente acuta, impietosa, che fruga nelle miserie umane, sa anche mostrare compassione per le sofferenze di questi personaggi né buoni né cattivi, mediamente intelligenti, a volte banali, anche divertenti, ma fino ad un certo punto.

 

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