Anne Holt
La dea cieca
Traduzione di Giorgio Puleo
Einaudi 2011
«La dea della Giustizia lo aveva sbirciato da sotto la benda. Lo aveva fissato dritto in faccia poi gli aveva fatto l’occhiolino, ne era sicuro. E gli aveva sorriso. Un sorriso ambiguo, pieno di mistero.»
La persona così beneficiata dalla dea bendata è Hakon Sand, che assiste in qualità di “politiadjutant” (una figura di giurista in forza alla polizia norvegese) l’investigatrice Hanne Wilhelmsen in due casi solo apparentemente separati, quello di un oscuro spacciatore di droga e quello di un ambiguo avvocato.
La narrazione si svolge in modo serrato, ogni personaggio è delineato con precisione e, alla fine, tutte le tessere si incastrano senza misteri né ambiguità. Quello che rimaneva nell’ombra nel corso della narrazione è illuminato e reso esplicito. Non rimangono residui, né dubbi.
La carriera e gli incarichi politici della scrittrice (laureata in legge, giornalista, collaboratrice della Polizia di stato norvegese, per un anno Ministro della Giustizia) danno un tono di verità oggettiva alla finzione letteraria: è una specie di garanzia della veridicità di ambientazioni e procedure.
Chiaramente l’investigatrice Hanne è una sua proiezione, anche per quanto riguarda la vita privata. All’interno della vicenda poliziesca si intrecciano le vite e i rapporti personali dei personaggi, che danno un tocco di umanità allo squallore della delinquenza e della corruzione.
Ma ci sono delinquenti e delinquenti: da una parte i potenti corrotti e corruttori, dall’altra i deboli deviati dalle circostanze della vita e, in genere, vittime dei potenti, ancorché colpevoli. Su questi lo sguardo dell’investigatrice Hanne- scrittrice Anne ha una sfumatura di pietà tutta femminile.