Irène Némirovsky
La moglie di don Giovanni
A cura di Giorgio Pinotti
Traduzione di Laura Frausin Guarino
Adelphi 2009
Clémence, ex domestica, alla vigilia di un’operazione da cui non sa se uscirà viva, scrive a quella che un tempo era la sua adorata “Signorina Monique”, che ora è sposata, ha due bambini e vive a Strasburgo;
nella lettera svela dolorosi segreti del passato sui suoi genitori e sul quel mondo che sembrava un paradiso, ma che nascondeva miseria morale e crudeltà.
L’uso delle maiuscole ( la Signorina, la Signora, il Marito, la Famiglia…) segna una distanza, che è prima di tutto quella rigorosissima di natura sociale tra la servitù e i padroni, ma che anche rivela lo scarto tra apparenza e realtà; in questo scarto si insinua lo sguardo di un pubblico, quello della servitù, volto ad osservare (e criticare) lo spettacolo della mondanità: sfarzo, divertimento, rapporti disinvolti, ricchezza, avidità, e tanta ipocrisia. La domestica Clémence afferma spesso di non voler giudicare, ma il suo cuore, pietoso verso l’innocenza dei bambini, non può non provare disgusto per i comportamenti di un mondo bello e lussuoso, ma falso e corrotto.
Mondo di donne, quello che affiora: solo i personaggi femminili sembrano avere un’anima, bella o corrotta che sia; gli uomini sono altrove, indaffarati nelle loro inutili faccende. E tra tutte la figure femminili spicca lei, la Signora, avvolta nell’armatura della sua solida fama di moglie irreprensibile e madre esemplare, una donna consapevole della propria bruttezza, pronta a sopportare tutte le scappatelle del marito, così come, da ragazza, aveva sopportato i maltrattamenti di una madre non rassegnata a vederla così brutta; una donna timida, incapace di carezze e contatti perfino con i figli che sono la sua unica ragione di vita (personaggio, questo, che l’autrice ha creato a partire dalla sua personale esperienza di bambina desiderosa d’affetto, di quell’affetto che la madre mai le ha saputo dimostrare); e tuttavia è anche una donna misteriosa, che molto ha da nascondere. Perché nascondere le brutture è la legge di quel mondo, in cui conta solo quel che si vede.